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Allattamento e dimissione del neonato ai tempi del COVID-19

10 Ottobre 2022


Si è conclusa la settimana mondiale per l'allattamento. Pubblichiamo in questa sede l'articolo scritto per l'occasione dalla dr.ssa Isabella Mondello, Responsabile della U.O.C. di Neonatologia del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria, in collaborazione con il Presidente del Tavolo Tecnico Allattamento al Ministero della Salute, Riccardo Davanzo, ed alla pediatra, dr.ssa Teresa Cazzato, edito sulla rivista SINFORMA del mese di settembre. 


Di: 
Teresa Cazzato (Pediatria di famiglia, Taranto); Isabella Mondello (G.O.M. di Reggio Calabria, UOC Neonatologia TIN), Riccardo Davanzo (Istituto materno-infantile IRCCS “Burlo Garofolo", Trieste).

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Unicef e le Società Scientifiche (1) raccomandano di allattare esclusivamente al seno i propri figli per i primi sei mesi e di continuare ad allattare dopo l’introduzione di cibi solidi e semisolidi, anche  fino ai due anni ed oltre. Sebbene il latte materno sia il gold standard nutrizionale, i tassi di allattamento sono inferiori rispetto a quelli raccomandati. Le madri infatti vivono le difficoltà di avvio dell’allattamento, che non sono sempre superate al momento della dimissione dall’ospedale e possono associarsi all’interruzione precoce dell’allattamento al seno.

La recente pandemia di COVID-19 ha avuto un impatto negativo sulle pratiche postnatali e sull’allattamento, soprattutto nella fase iniziale. Spesso sono venute meno le pratiche note per promuovere e proteggere l’allattamento al seno, come il contatto pelle a pelle, il rooming-in, il supporto post-dimissione dall’ospedale. La percezione delle madri di non avere una quantità di latte sufficiente, il rallentato recupero del calo fisiologico, una crescita del bambino non corrispondete alle aspettative ideali, problemi fisici del seno quali le ragadi del capezzolo o la mastite, il rientro al lavoro sono motivi per il passaggio ad un allattamento misto o all’interruzione dell’allattamento al seno già nel corso del primo mese di vita (2).

L’introduzione di pratiche postnatali ostacolanti l’allattamento è stata la conseguenza di informazioni contraddittorie sui rischi della trasmissione materno-infantile del SARS-Co-V-2, anche se ben presto si era potuta dimostrare nel latte materno l’assenza di coronavirus replicanti e la presenza di immunoglobuline (IgG ed IgA specifiche), sia dopo infezione naturale, sia dopo vaccinazione. La Società Italiana di Neonatologia, in armonia con le raccomandazioni dell’OMS in relazione alla possibilità che la donna COVID-19 allatti, aveva emesso precise e tempestive indicazioni che sono state fatte proprie dall’Unione delle Società Europee di Neonatalogia e Perinatologia (UENPS)(3).

Nonostante queste rassicuranti evidenze e prese di posizione ufficiali, le donne hanno partorito in molti casi senza la presenza del partner o di una persona di supporto, le madri

positive o sospette COVID-19 hanno visto i loro neonati sani separati, le coppie madre-bambino sono state dimesse in maniera non appropriata e con follow-up incerto, dal punto di vista del sostegno alla genitorialità (4). Per quanto poi riguarda i neonati con bisogni speciali, va rimarcato che molte UTIN non solo in fase iniziale, ma tuttora limitano l’accesso ai genitori.

Questo nuovo approccio è risultato dannoso per l’allattamento al seno tanto che nella popolazione generale delle neomamme i tassi di allattamento esclusivo alla dimissione ospedaliera sono documentatamente scesi durante il lockdown rispetto al periodo pre-pandemia sia in dimissione dall’ospedale, che a 30 ed a 90 giorni di vita del bambino (5). 

Considerato il contesto epidemiologico della pandemia COVID-19 e il cambiamento delle pratiche assistenziali dei Punti Nascita, la dimissione dall’ospedale va intesa come momento di tutela della mamma e del neonato, mantenendo una qualche forma di supporto, una volta rientrati a casa. Al momento della dimissione dall’ospedale, gli operatori sanitari devono fornire informazioni complete sulle risorse (anche se limitate) disponibili sul territorio siano essi servizi sanitari, professionisti dedicati al sostegno, attività di volontariato. E’ preferibile che gli operatori di questi servizi territoriali vadano informati/attivati. Bisogna inoltre trovare localmente delle soluzioni per garantire un accesso al pediatra di famiglia nei giorni immediatamente successivi alla dimissione ospedaliera. 

Già prima della pandemia da COVID-19, la telemedicina nelle sue varie forme si era rilevata una strategia di crescente importanza per colmare il divario fra una limitata disponibilità di sostegno in presenza dopo la dimissione ospedaliera ed il rilevante bisogno di aiuto, non solo sull’allattamento, da parte della coppia madre-bambino.

Un servizio competente e di qualità 24 ore su 24 ore, 7 giorni su 7 dedicato alle neomamme, risulta essere efficace, ma non sostenibile nell’ambito di un singolo ambulatorio pediatrico. Va riconosciuto poi che nonostante i risultati possano essere incoraggianti, molte madri hanno sentimenti contrastanti in relazione ai servizi di telemedicina e preferiscono l’assistenza anche emotiva implicita nell’incontro di persona con gli operatori sanitari.

In questo contesto pandemico e sperabilmente post-pandemico rimane fondamentale monitorare (o forse cominciare a monitorare) i tassi di allattamento, per poter disporre di dati precisi, che ci spronino a investire nel recupero o nella nuova implementazione delle ben note pratiche facilitanti la relazione madre-bambino e l’allattamento.